Poesia come Flogisto
Osservo affascinato e incuriosito i pochi e semplici elementi che ho collegato fra loro all’interno di questa scatola in legno e mano a mano sento crescere in me la meraviglia per la poesia che, come flogisto, evapora da queste icone dialoganti attraverso un muto linguaggio astratto, che muove dalla conoscenza e che dalla conoscenza immediatamente si stacca.
Alcuni centimetri di filo conduttore, avvolto intorno a un tubo di cartone bachelizzato del diametro di pochi millimetri, tre sottili lamine metalliche, isolate fra loro da fogli di mica di uguale geometria e poi il detector, un cilindro trasparente che protegge un piccolo cristallo di solfuro di piombo, dove un flessibile filo di acciaio va a cercare il punto in cui avviene la separazione dei segnali di bassa frequenza da quelli di alta frequenza, cioè, la rivelazione.
Ho portato le cuffie alle orecchie e ho cominciato a graffiare, con il “baffo di gatto“, le protuberanze e gli avvallamenti del pezzetto di cristallo, serrato all’interno di un guscio metallico.
Tra i numerosi crepitii si è inserita più volte una voce anonima, insieme a qualche scheggia di suono musicale, e quando ho trovato il punto sensibile, attraverso il quale scorre stabilmente il segnale rivelato, ho socchiuso gli occhi per collegare il mio ricevitore immaginario con i criptici segni di un codice che nessun trattato e nessuna teoria potranno mai indagare e descrivere.
Sintesi e rielaborazione (1999) di una serie di note
scritte tra il marzo e l’aprile 1954