Festival delle Cose Invisibili
Arte Scienza per la lettura dell’invisibile
“L’essenziale è invisibile agli occhi”,
ripeté il piccolo principe per ricordarselo.
“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa
che ha fatto la tua rosa così importante”.
Antoine de Saint-Exupéry
Le petit prince
Le immagini e le strutture plastiche, da me presentate nelle varie sedi in cui si svolge il Festival delle cose invisibili di Montelupo Fiorentino, rappresentano la metafora visiva di alcuni elementi e temi scientifici normalmente espressi in un linguaggio codificato mediante formalismi matematici.
E dal momento che il terreno sul quale è cresciuto l’albero del sapere scientifico è stato fecondato dall’immaginazione, dalla fantasia, dal pensiero metafisico, nonché dalle passioni, dalle emozioni e dai sogni, è evidente quanto lo scienziato si muova in un suo spazio immaginario, di modo che le ipotesi scientifiche con le quali procede debbano essere considerate pure invenzioni della sua creatività.
Albert Einstein aveva affermato di essere giunto ai suoi innovativi concetti non attraverso l’osservazione sperimentale, né per mezzo di calcoli matematici, bensì sulla base di “un puro gioco inventivo”. E nella sua autobiografia rivela di aver mantenuto sempre la capacità, a dispetto dell’età, di vivere con lo stesso stupore infantile anche quei fenomeni della natura che ai più appaiono banali, ma che allo sguardo del bambino celano forze invisibili e incantanti.
Gli scienziati concepiscono quindi le loro fantasie e poi vanno a caccia, in modo altamente selettivo, di fatti nuovi che si adattino alle fantasie stesse. Perché il mondo non è realtà ma il prodotto di una mente e delle sue procedure simboliche per cui, in questo senso, non esiste un unico concetto di mondo ma una serie infinita di mondi possibili.
Di fatto, l’uomo può costruire solo rappresentazioni della realtà, che di volta in volta viene modificata dall’intervento dell’uomo stesso, dai suoi linguaggi, dai suoi schemi concettuali. Non esistono, quindi, fatti in sé, perché siamo noi che ritagliamo il mobilio del mondo, che ne costruiamo le versioni a partire da altre precedenti versioni.
Friedrich Nietzsche aveva detto che “la nostra verità è un esercito mobile di metafore”.Tutte le grandi teorie scientifiche – le galileiane, quelle di Newton, quelle di Einstein – sono state introdotte da qualche metafora influente, cioè da un discorso figurato, molto vicino all’immaginazione della poesia. La metafora è anche questo: una similitudine che inaugura un nuovo modo di guardare alla realtà. Il punto di contatto tra la scienza e la poesia consiste proprio nei momenti inaugurali di una nuova immaginazione scientifica che è stata, da tempo, valorizzata nella sua funzione euristica, con il fine di scoprire.
E proprio da questo tipo di analisi si è mossa, fin dall’inizio, la mia ricerca, con l’obiettivo di creare metafore visive che consentissero di presentare la scienza nel suo farsi e non semplicemente nel suo “essere”, esibita cioè soltanto attraverso la dimostrazione fossilizzata della sua forma scheletrica di logica freddamente deduttiva e formalistica, così come contemplato, purtroppo, dall’insegnamento scolastico delle discipline scientifiche.
Naturalmente è da tener presente che un modello è la semplice rappresentazione di una certa realtà e non la realtà stessa come indicato, per analogia, dal famoso quadro di Magritte: “Ceci n’est pas une pipe”.
Sono però convinto che i concetti e le immagini legati ai modelli siano fondamentali nella comprensione dell’universo della scienza e, a tal proposito, prenderò a prestito un esempio, tratto dal saggio “Naturalia”, contenuto nel testo di Michel Tournier, “Celebrazioni”: “La marea. Rivedo un professore che tenta di spiegarci il fenomeno. Aveva messo un tovagliolo sul tavolo. ‘La marea non è questa’, diceva facendo scivolare il tovagliolo da un capo all’altro del tavolo. ‘E’ questa’, e sollevava il tovagliolo prendendolo per la parte centrale. ‘In modo tale che il flusso e riflusso hanno luogo contemporaneamente su tutte le coste, a Calais come a Dover. E la mia mano, che sta sollevando questa copertura liquida, rappresenta la luna. E’ la luna, infatti, ad attirare la massa d’acqua, provocando così la bassa marea. Poi la lascia ricadere, ed ecco l’alta marea ‘. Noi sbarravamo gli occhi scoprendo su quel tavolo il segreto di tali meraviglie”.
La forza di questa “immagine” produce una stupita ammirazione insieme a una grande emozione, componente essenziale per edificare il sapere.
Potranno poi seguire la teoria della gravitazione, le sue conseguenze sulle maree, i calcoli e le formalizzazioni matematiche, ma tutto quello che segue prenderà corpo e assumerà un significato solo se si appoggia su una così grande emozione.
Così l’intera “operazione metaforica” di cui mi sono avvalso, per quanto mossa dalla conoscenza, è evidentemente arbitraria e, a differenza della deduzione, non si giustifica nella sua forma ma solo negli effetti che riesce a produrre.
Spero, comunque, che le immagini e le strutture plastiche che presento a questo Festival delle cose invisibili, e che vanno dalla radiazione cosmica alla schiuma quantistica passando per le stringhe, dalle bolle di sapone alla ricorsività e ai campi elettromagnetici, rappresentati, questi ultimi, dal vettore di Poynting sotto forma di struttura plastica, riescano a produrre l’interesse, la voglia di conoscere e il senso della meraviglia in tutti coloro che le osserveranno.
Firenze, maggio 2011